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Jarmusch e le relazioni familiari che attraversano spazi, ambienti e città

La geografia emotiva di Father Mother Sister Brother, il film di Jim Jarmusch vincitore del Leone d’Oro. Dal 18 dicembre al cinema.

Di Margherita Bordino*

Father Mother Sister Brother di Jim Jarmusch è un film che lavora in sottrazione: tre storie, tre famiglie, tre città e luoghi che non si limitano a ospitare i personaggi, ma li respirano, li trattengono, li spiegano. Gli spazi non fanno da sfondo: sono un contrappunto emotivo, una mappa visiva in cui la memoria e la distanza diventano architettura.

Jarmusch, nell’incipit di ogni episodio, fa “scivolare” i suoi personaggi su skateboard attraverso spazi e tempi che sembrano non avere confini. È un movimento continuo, quasi ludico, che però il rallenty trasforma in un gesto di sospensione. Quel passo rallentato, quell’incontro, quell’inciampo e, a suo modo, quell’invasione di campo, non servono a enfatizzare l’azione, ma a far avvertire il tempo mentre passa, come se ogni traiettoria aprisse una storia e la congelasse per un attimo. Lo skateboard diventa così un modo per attraversare il mondo e, allo stesso tempo, per fermarsi a guardarlo.

Osservare la famiglia

Ogni capitolo del film — “Father”, “Mother”, “Sister Brother” — sembra osservare la famiglia da un diverso angolo geografico e sentimentale. Prima il Nord-Est degli Stati Uniti, poi Dublino e infine Parigi non sono semplicemente luoghi: sono climi morali, atmosfere, stili di vita che modellano i rapporti tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle. Jim Jarmusch costruisce questi mondi in modo lineare e simmetrico, non maniacale, e con la delicatezza di chi sa che gli ambienti hanno voce, e che quella voce va ascoltata più che illustrata.

La scenografia firmata da Mark Friedberg e Marco Bittner Rosser lavora proprio su questo ascolto. Negli interni americani di “Father”, la materia è piena: legno, tessuti, oggetti accumulati negli anni raccontano un’eredità emotiva difficile da maneggiare. La casa sembra trattenere il fiato, come se ogni superficie registrasse un’abitudine non detta tra padre e figlio. A Dublino, in “Mother”, gli spazi si aprono invece alla luce naturale, a una quotidianità che scorre in silenzio: vicoli umidi, cucine piccole, salotti dove un oggetto lasciato sul tavolo è già narrazione affettiva.

Poi arriva Parigi, il capitolo “Sister Brother”, e la scenografia compie un gesto radicale: svuota. L’appartamento dei due gemelli è quasi un’eco, un luogo spoglio, ridotto all’essenziale. Non c’è mobilio, non ci sono appigli emotivi. È uno spazio di assenza che diventa immediatamente simbolo: il vuoto come eredità, come sospensione, come smarrimento. In quelle stanze quasi nude c’è tutto ciò che manca, tutto ciò che la famiglia non riesce a trattenere.

A cucire i tre episodi ci sono piccoli oggetti ricorrenti, quasi di rituali di confronto — tazze, fotografie, porcellane, un orologio di lusso che ritorna come un fantasma di status e distanza. Sono dettagli minimi, quasi invisibili, ma Jarmusch li posa come segni, tracce di memoria che attraversano i racconti senza mai imporsi. La loro discrezione è la loro forza: parlano di legami, di ciò che resta e di ciò che non si riesce più a toccare.

Geografia emotiva

La fotografia di Frederick Elmes e Yorick Le Saux accompagna questa geografia emotiva con una coerenza che non appiattisce le differenze: ogni città mantiene il proprio respiro, ma il film resta riconoscibile, sospeso in una “staticità controllata”. Le inquadrature fisse, il montaggio meditativo di Affonso Gonçalves, i tempi lenti: tutto sembra costruito per lasciare spazio agli spazi. Per permettere ai non detti di sedimentare.

Anche i costumi di Catherine George partecipano a questa scrittura silenziosa. I vestiti definiscono i corpi come elementi scenici: suggeriscono ruoli, personalità, identità ma anche distanze, sovrapposizioni familiari, come se ogni tessuto contenesse un’eredità emotiva da interpretare.

In Father Mother Sister Brother gli ambienti non decorano, ma raccontano. Sono estensioni del sentimento, camere d’eco di relazioni fragili, mappe interiori di personaggi che si muovono piano, quasi temessero di disturbare ciò che gli oggetti – muti, ostinati – stanno cercando di dire.

Come è noto, Jarmusch lo definisce “una specie di anti-film d’azione”, e in effetti tutto si regge sul gesto minimo, sul dettaglio posato con cura. Tre composizioni delicate, tre spazi che non chiedono di essere attraversati, ma ascoltati. In questo film, essere presenti è l’unica forma possibile di partecipazione. Gli ambienti lo sapevano già. Gli spettatori lo imparano, lentamente.

*Giornalista e autrice. Lavora tra editoria tradizionale, online e televisione, e in quello che fa l’ascolto, il confronto, la ricerca sono fondamentali. La appassiona e incuriosisce tutto ciò che è arte, cultura, intrattenimento. Che sia un’intervista, una live, un podcast o format tv le interessa raccontare e fare conoscere storie, percorsi, creazioni. Tra le sue collaborazioni ci sono Artribune, Cinecittà News Video, Elle Decor e Sky .
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Il Film

FATHER MOTHER SISTER BROTHER è un lungometraggio, attentamente costruito in forma di trittico. Tre storie che raccontano le relazioni tra figli adulti, i loro genitori piuttosto distanti e tra fratelli. Ognuna delle tre parti è ambientata nel presente e ciascuna in un paese diverso. FATHER è ambientato nel Nord-Est degli Stati Uniti, MOTHER a Dublino, e SISTER BROTHER a Parigi.…

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