Dal 29 ottobre al cinema, il Dracula di Luc Besson è l’ultimo di una lunga serie di interessanti reinterpretazioni della figura del vampiro.
La Notte delle Streghe è arrivata e con un tempismo perfetto per chi voglia passarla a guardare un bel film, nei cinema arriva anche Dracula – L’amore perduto, il nuovo rifacimento del classico di Bram Stoker che stavolta porta la firma registica del grande Luc Besson. Dopo la precedente collaborazione con Caleb Landry Jones, protagonista eccellente di Dogman, Besson torna a lavorare con l’attore – chi meglio di lui per interpretare il Principe delle Tenebre – per questa nuova reinterpretazione in senso romantico di Dracula.
Con il supporto di un cast internazionale che comprende anche Christoph Waltz, Matilda De Angelis e Zoë Bleu, Dracula – L’amore perduto ripercorre parzialmente l’approccio, sia narrativo che scenico, dell’adattamento proposto da Francis Ford Coppola nel 1992. E cioè: farci parteggiare per il vampiro. Dopo la presa di Costantinopoli infatti, il Conte Vlad di Valacchia, soprannominato “l’Impalatore”, difende la Transilvania e il resto d’Europa dall’avanzata dell’Impero Ottomano. Ma dopo la morte della sua amata Elisabetta (Bleu), Vlad rompe il patto con Dio e viene maledetto a una dannazione eterna.
Besson coglie ovviamente l’aspetto romantico del personaggio, mosso da un amore che attraversa i secoli ma non si spegne. Fino ad arrivare al XIX secolo, dove incontra Mina e si convince si tratti – e forse stavolta lo è davvero – della reincarnazione della sua Elisabetta. Ma come sempre nel suo cinema e come già era successo in Dogman, Besson non si ferma a un genere solamente: unisce romance, film in costume, grande epica fiabesca e persino la sua immancabile vena action che sempre lo contraddistingue fin dai tempi di Nikita.
Dimostra insomma che Dracula, e la figura del vampiro in generale, è materiale narrativo dalle grandi potenzialità interpretative. Che infatti è stato reinterpretato, più volte nella storia del cinema, ogni volta con diverse finalità e significati. Eccone cinque che hanno preceduto Dracula – L’amore perduto, al cinema dal 29 ottobre.
A leggere la sinossi di Near Dark sembra di assistere a un déjà-vu, in fatto di vampirismo in chiave romance. E il fatto poi che il protagonista (dimenticato) di questo film mai abbastanza citato si chiamasse proprio Caleb, un ragazzotto della campagna americana che si innamora suo malgrado di una vampira di nome Mae e viene trascinato nella notte dalla natura famelica della sua comitiva, aggiunge quel sapore di coincidenza. Il buio si avvicina non fu solo un’opera prima instant cult, ma segnò l’inizio (atipico) di una delle carriere più folgoranti di Hollywood: quella di Kathryn Bigelow, la prima donna (lo ricordiamo) ad aver vinto gli Oscar alla Miglior Regia e Miglior Film per The Hurt Locker. Nel 1987 era solo una giovane con pochi fondi e il desiderio di girare un western. Il risultato fu una miscellanea di generi che univa Far West e George Romero, sullo sfondo di una satira all’America delle roulotte e le pompe petrolifere.

Il pezzo da novanta nella filmografia del regista svedese Tomas Alfredson è sicuramente La talpa – nel bellissimo titolo inglese Tinker, Taylor, Soldier, Spy – forse il miglior film di spionaggio dell’ultimo quarto di secolo. Ma il suo film precedente, nonché il primo a dargli visibilità internazionale al di fuori della Svezia, era una pellicola sui vampiri che riproponeva il taglio romantico ma per la fascia pre-adolescente. Non per questo Lasciami entrare è un film che lesina sull’horror e il sangue, anzi, ma la storia potrebbe ricordare un Moonrise Kingdom: due bambini, Oskar ed Eli, che si incontrano e si riconoscono in quanto emarginati. Lui perché bullizzato, lei perché vampira; entrambi due freak. Lasciami entrare parla di incomunicabilità, senso di abbandono, scoperta del desiderio e la paura di far entrare l’altro, e nuocergli. Il tono è quello del cinema nordico, forse persino un Kieślowski: c’è il blu della notte, il rosso del sangue e il bianco di un’infanzia immacolata.
Di tutti i grandi autori che hanno portato le loro personali visioni sul vampiro, quella offerta da Jim Jarmusch nel 2013 è senza dubbio una delle più chic e raffinate. Anzi, è proprio il vampiro come personalità raffinata e bohémien, quella che troviamo al centro di Only Lovers Left Alive, punta di diamante del cinema indie che usa l’horror per fare arthouse. Eve e Adam – Tilda Swinton e Tom Hiddleston, che anche senza trucco hanno quell’aspetto efebico perfetto per il ruolo – sono due vampiri che si sono amati per secoli, hanno conosciuto personalità storiche e artistiche, sviluppato un profondo senso per il gusto (estetico), l’arte, la musica. Nonché un profondo rispetto per la vita umana, tant’è che non bevono sangue direttamente dagli umani ma se lo fanno procurare dagli ospedali. Ciò che Jarmusch intuisce e che anche Besson ripropone, è la condizione immortale del vampiro, che lungi dall’essere un mostro, porta invece con sé un bagaglio di esperienza e cultura che nessun mortale potrà mai vantare.

In qualche modo, tutti i titoli di questa rassegna hanno in comune con Besson il taglio romantico. Tutti, tranne il film che lanciò la carriera, sia dietro che davanti alla macchina da presa, di Taika Waititi. Ma non si può fare una rassegna di film atipici sui vampiri senza citare What We Do in the Shadows, in italiano Vita da vampiro, il mockumentary cult che ha dato vita anche a due serie televisive con diverse stagioni ciascuna. Lo stile è appunto quello di un falso documentario, pensato per raccontare la difficile vita di questi quattro coinquilini succhiasangue (Viago, Vladislav, Deacon e Petyr) con residenza a Wellington, Nuova Zelanda. La camera li segue a flash spianato nelle loro scorribande notturne fra locali malfamati, zingarate di gruppo, litigi su chi debba lavare i piatti e scontri con bande rivali: zombie, lupi mannari e ammazzavampiri. Qualcuno potrebbe scambiarlo per un vero documentario sulla vita notturna di Berlino. E avrebbe anche ragione.
Immaginate di prendere Persepolis, trasformarlo in live-action e aggiungere un bel paio di canini appuntiti alla protagonista. Otterrete A Girl Walks Home Alone at Night, opera prima della regista iraniana naturalizzata statunitense Ana Lily Amirpour, la stessa di The Bad Batch. E la prova che, come recitava il film d’animazione dedicato alla condizione delle donne in Iran: “Punk is not ded”. Ma come dal titolo può intuire qualunque donna sia dovuta tornare a casa da sola, a piedi, di notte, il film di Amirpour non parla di Iran, non esclusivamente almeno. È una rivincita fatta donna senza nome, che con indosso uno chador si aggira per le strade della fittizia Bad City, invasa dalla criminalità e l’eroina, succhiando il sangue di chiunque (principalmente uomini) se lo meriti. Non manca il risvolto romantico, ma ciò che colpisce di più è questo ritratto assolutamente corrotto e anti-coranico dell’islamissimo Iran. Per chi non sopporta la vista del sangue, neanche a farlo apposta: è in bianco e nero.

Se invece cercate il colore, l’opulenza scenografica e il tripudio di generi – ma soprattutto, se cercate l’amore perduto – Dracula – L’amore perduto di Luc Besson vi aspetta al cinema dal 29 ottobre.